La maggior parte dei vitigni più diffusi per uve da vino, da tavola e da essiccare hanno bisogno di un’alta protezione chimica e biologica contro vari patogeni con pesticidi che, certamente, danneggiano gli ecosistemi; per di più la resistenza dei patogeni ai fitofarmaci, l’impatto crescente dei cambiamenti climatici che pone in dubbio l’esistenza stessa dei vitigni più diffusi, hanno portato numerosi centri di ricerca a puntare nuovamente sull’utilizzo della biodiversità esistente all’interno della vite, riproponendo antichi vitigni resistenti a funghi e parassiti e a formulare, altresì, nuovi incroci fra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis, fino alle nuove tecniche di “genome editing” sui vitigni.

Per il professor Luigi Moio, presidente dell’Organizzazione internazionale della vite e del vino, la crisi climatica “rischia di indebolire la diversità sensoriale dei vini ed il suo stretto collegamento con il concetto di “terroir”, per cui è necessario favorire il perfetto adattamento tra il genotipo e l’ambiente, ovverosia coltivare la pianta che maggiormente si adatta al contesto pedoclimatico in cui si opera e anche il vino che si otterrà, oltre ad essere più sostenibile, sarà armonico in tutti i suoi componenti e il suo equilibrio sarà principalmente dovuto alla perfetta combinazione tra pianta, suolo e clima”.
Permane la direttiva di ridurre il numero delle cultivar e di dare la preferenza, in ogni località, a quelle più resistenti e produttive in rapporto alla situazione climatica e più adatte all’esportazione, valutando per ogni cultivar quali siano le modalità di coltivazione ottimale, quali tipi di vino valorizzi ciascun vitigno, quale sia la adattabilità sul territorio e quali le migliori combinazioni.

Tra le uve da vino più resistenti alle malattie sono note Prior, Soreli, Solaris, Sauvignon nepis, Cabernet volos, Merlot khourus, Julius, Merlot kanthus.
L’ampliamento della rosa dei vini autoctoni siciliani risale a decenni fa, grazie all’esperienza di tre grandi produttori: Giacomo Rallo, Diego Planeta, Lucio Tasca d’Almerita.
La Doc Sicilia ottenuta nel 2011 con la nascita del consorzio che ha il compito di tutelare e diffondere il vino siciliano anche in termini di sostenibilità, si stende per 23.521 ettari, con 7.863 viticultori e 95,8 milioni di bottiglie prodotte nel 2021 (+6%).
Al fine di valorizzare la qualità dei vini siciliani e conservare la biodiversità generata dai 3.000 anni di viticoltura nell’isola e le sue varietà autoctone è stato avviato un progetto di tutela del germoplasma promosso e sostenuto dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia in collaborazione con il Dipartimento regionale dell’Agricoltura della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e il Centro regionale per la conservazione della biodiversità viticola ed agraria “F. Paulsen”.

In Sicilia questa biodiversità nasce da un processo evolutivo di ibridazione per la creazione di nuove varietà di vite capaci di tollerare condizioni climatiche estreme, requisito molto utile nei programmi di miglioramento genetico perchè è a livello varietale che si ha la vera differenza, visto che i vitigni antichi sono adatti alla coltivazione con metodi biologici, trattandosi di varietà che la natura ha selezionato per adattabilità, rusticità, maggiore resistenza a malattie e caratterizzate da sapori e profumi ineguagliabili. Le varietà siciliane sono caratterizzate da una ricchissima variabilità perché nel passato si è privilegiato l’innesto in campo, mentre la selezione clonale dei vitigni dell’Europa continentale ha ridotto ormai a pochi biotipi la variabilità genetica delle popolazioni varietali non autoctone che riescono a produrre soltanto grazie all’utilizzo massiccio di fertilizzanti sintetici, di pesticidi e diserbanti. Inoltre gli studi di miglioramento genetico sono stati concentrati quasi esclusivamente sulle qualità delle specie Vitis americane.
“Lavorando con viti di cui è certa l’identità varietale e l’integrità sanitaria – spiega il Consorzio – è possibile dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani. Grazie al progetto è in corso la verifica fitopatologica dei campi di piante iniziali esistenti e la ricostituzione di nuovi campi con materiali virus esenti, da cui ottenere il materiale di propagazione per la produzione di barbatelle innestate e certificate”.
Il Nero d’Avola, il primo vitigno autoctono ha grande appeal in Italia e all’estero con circa 50 milioni di bottiglie l’anno nel 2020 e poi nel 2021. Secondo Rallo è un “vitigno dal carattere impetuoso e attraente, si lascia addomesticare dal passaggio del tempo: è un nettare propenso all’invecchiamento, ma virtuoso e pregiato già in gioventù”.

Tra le antiche cultivar di uva da tavola sono molto robuste le cv. Palatina, Alfonso Lavallèe, Moscato di Terracina, Baresana (molto vigorosa, nelle zone calde e asciutte della Puglia, dà una produzione abbondante e pregevole. Non adatta all’Italia settentrionale), Zibibbo (si adatta alle zone calde), Ciclopica, Dorona di Venezia, Colombana (Toscana), Lattuario (Puglia e Sicilia), Uva d’Almeria (Italia meridionale), Servant.
Meritano particolare attenzione i vitigni di uve apirene, cioè senza semi tipo le Sultanine, delle quali esistono diverse cultivar che si distinguono, in base al colore, in bianche, rosee, violacee e nere: per il consumo diretto e per l’essiccazione, in particolare, si consigliano la Sultanina bianca, la Perlette, la Delight, la Maria Pirovano.
Esigenze colturali
La natura fisico-chimica del terreno esercita una notevole influenza sull’epoca di maturazione, sulla grossezza e forma dei grappoli, sulla colorazione, sull’aroma, sulla serbevolezza e resistenza ai trasporti. In genere in terreni freschi e fertili si hanno acini più grossi ma dal colore meno vivace, polpa meno zuccherina e poco profumata. Le produzioni saranno quantitativamente abbondanti, ma poco serbevoli. Risultati opposti si conseguono in terreni poveri e siccitosi.
Si può dire altrettanto per il clima. Il clima umido produce le stesse conseguenze dei terreni freschi e fertili; favorisce inoltre lo sviluppo delle crittogame e ostacola l’allegaggione al momento della fioritura. Il clima caldo, asciutto è più favorevole,
ma, se eccessivamente arido, può ostacolare l’accrescimento e la maturazione dell’uva.
Pertanto sia il terreno che il clima devono essere adatti, in modo da favorire lo sviluppo dei grappoli e dei singoli chicchi. Infatti la coltura delle uve da tavola è pregevole specialmente nella Puglia, in Basilicata in Sicilia e in Sardegna.
In Toscana soltanto la Chasselas dorè e la Colombana troverebbero le condizioni più adatte.
La tecnica colturale per la produzione di uve da tavola ovviamente differisce da quella delle uve da vino perchè le uve da tavola hanno maggiori esigenze rispetto a quelle da vino.
Dott.ssa Stefania Mangiapane

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