Secondo il dossier presentato da “Ellen MacArthur Foundation” all’ultimo World Economic Forum di Davos, ogni anno finiscono in mare oltre 8 milioni di tonnellate di plastica.
È come se ogni minuto, per 365 giorni, un camion della spazzatura riversasse il proprio contenuto nell’oceano.
Possiamo contribuire a ridurre l’inquinamento partendo (anche) dall’abbigliamento.
Scegliere fibre naturali e biologiche è il primo passo per rispettare l’ambiente e la nostra pelle.
Partiamo da un consiglio per scegliere l’abbigliamento ecobio, imparando la differenza tra i vari materiali.
– Cotone, lana e seta sono propriamente detti biologici e sono certificabili.
– Canapa, bamboo, eucalipto, lino e ortica sono invece ecofriendly (garantiscono un ridotto impatto ambientale, non richiedendo l’utilizzo di pesticidi).
Analizziamone meglio alcuni:
- Cotone:
Nel cotone non biologico viene versato il 25% degli insetticidi impiegati nel mondo.
Inoltre, il cotone OGM rappresenta oggi circa il 35% delle coltivazioni di cotone mondiali.
Ma a quanto ammontano le sostanze chimiche industriali in un kg di prodotto tessile lavorato? L’uso di sostanze chimiche può arrivare a 1 kg di sostanze chimiche per 1 kg di prodotto tessile lavorato.
Perché scegliere bio?
Il cotone biologico proviene da sementi biologiche e coltivate in campi ove per tre anni non vengono utilizzati pesticidi. Ecco le qualità: traspirante, non inquinante e soprattutto anallergico. In più resiste molto più a lungo ed è adatto per le pelli dei più piccoli.
Molte malattie della pelle scompaiono grazie al suo utilizzo. In particolare, dermatite, allergie, candida e micosi, grazie soprattutto all’utilizzo di abbigliamento intimo in cotone biologico.
- Canapa
Partiamo da un principio: anche se botanicamente si tratta sempre di “Cannabis sativa” o addirittura “C. indica”, dalle varietà ottimizzate per la produzione di fibra e semi non è possibile estrarre sostanze stupefacenti.
La canapa non richiede fertilizzanti e cresce bene quasi dappertutto. Fino agli anni ’30 del secolo scorso eravamo i secondi produttori al mondo per quantità. Nel periodo di massima produzione solo in Italia erano coltivati a canapa oltre 79.000 ettari con una resa annua che sfiorava gli 800.000 quintali.
Secondo i dati diffusi da EIHA ( European Industrial Hemp Association) la superficie totale nel mondo di coltivazione di canapa industriale ha raggiunto circa 85mila ettari nel 2011, dei quali circa 60.000 per le fibre (soprattutto Cina ed Europa) e 25.000 ettari per i semi (soprattutto Canada, Cina ed Europa).
Attualmente in Europa la canapa è coltivata su 17mila ettari nell’Unione Europea (in almeno 13 Stati membri).
Se, infatti, si sposta l’attenzione di chi pensa alla canapa solo in termini di droga, ci si può rendere conto degli innumerevoli utilizzi di questa pianta, praticamente immune da ogni patologia e nella produzione di numerosi tipi di tessuti.
- Lana
I capi in lana biologica provengono da pecore tenute al pascolo e nutrite con mangimi e fieno biologici. L’utilizzo di prodotti antiparassitari è vietato sia sui pascoli che sugli animali, come anche di mutilazioni come il mulesing.
- Bamboo
l bamboo è una pianta che cresce con facilità e senza bisogno di fitofarmaci
Il tessuto è simile alla viscosa, ma molto più confortevole.
Siamo sempre alla ricerca di Aziende che si caratterizzano per etica e sostenibilità ambientale.
Abbiamo intervistato Giulio Amarù, titolare di Urban Apnea, start up che si caratterizza per la sostenibilità, utilizzando fibre naturali ed anche biologiche.
I tessuti migliori dovrebbero avere queste caratteristiche: alta traspirabilità, resistenza ai lavaggi anche ad alte temperature, sofficità e comfort sulla pelle nonché assenza di sostanze nocive.
Perché avete tessuti bio e fibre naturali?
“Urban Apnea nasce dall’idea di evasione del caos cittadino, frastornante e vorticoso. Mi piace pensare che quando si indossa una nostra maglia la sensazione sia subito di richiamo al fluido, all’aria sulla pelle. Un respiro tra l’apnea urbana. La strategia è differenziarsi dalla serialità per dare la possibilità di scegliere un prodotto che dia comfort, una seconda pelle. Credo che questo piaccia a chi ci sceglie. Non c’è solo un’acquisto ma l’idea di qualcosa che faccia stare bene” .
L’attenzione al metodo di coltivazione comincia dalle scelte di abbigliamento?
“Bisogna sentirsi bene nei propri panni. Se i panni provengono da coltivazioni nel rispetto dell’ambiente, allora si fa la differenza. Inoltre, credo che il valore aggiunto stia nel poter acquistare un prodotto di qualità, giovane e nel rispetto dell’etica ambientale accessibile a tutti: un prodotto democratico!”.
E’ possibile coniugare attenzione per l’ambiente, moda e condivisione di messaggi positivi?
“Assolutamente si, ed è ciò che sta alla base del nostro fare. La moda è un segno e come tale veicola significati. Possiamo essere quello che indossiamo per l’idea che sta dietro a questa scelta, non solo di tipo estetico ma anche sociale e di partecipazione. Non a caso le nostre ultime maglie Learn to fly, Learn to sail e prima ancora Simple Life, sono un costante richiamo a un modus vivendi un po’ fuori dagli schemi con un forte richiamo agli elementi naturali di aria e acqua e soprattutto ad abbracciare la vita come se fosse un gioco. Chi veste Urban deve divertirsi. A breve per il (2013) consecutivo parteciperemo come partner al Festival degli Aquiloni di San Vito Lo Capo, una di quelle manifestazioni che abbiamo sposato perché racchiude proprio quell’idea di partecipazione e condivisione giocosa all’aria aperta che amiamo comunicare”.
Optare per il biologico è un atto di cura anche di chi lavora nella filiera produttiva. Questo perché diritti dei lavoratori e fair trade sono connessi?
“Negli ultimi anni ci si è sensibilizzati sempre di più alle tematica di etica del lavoro e benessere sociale. Purtroppo temo che l’Italia debba fare ancora tanti passi in avanti affinchè queste politiche possano radicarsi nel fare comune. Sicuramente la scelta bio è un atto di rispetto per se stessi e per gli altri, e spero che questa cura nella scelta dei tessuti e dei fornitori, venga percepita dai nostri compratori. Forse si dovrebbe lavorare più sull’accessibilità soprattutto di tipo economico a certi prodotti che purtroppo, ancora in alcuni casi, puntano solo a una nicchia. Urban Apnea desidera invece aprirsi a un pubblico eterogeno, del resto la terra e ciò che dona dovrebbe essere un bene comune”.
Dunque non resta che imparare a scegliere, seguendo esempi come questo che nasce dalla ribellione e dalla sfida contro l’apnea quotidiana, sognando e contribuendo per un mondo migliore.
A cura della Dott.ssa Stefania Mangiapane
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