Incendi dolosi in Sicilia, un disastro ambientale

Quali sono le cause e le conseguenze di ogni incendio?

Ecco perchè è un vero disastro ambientale.

Tutte le indagini documentano le origini dolose degli incendi che divampano bruciando maldestramente le erbe infestanti dei pascoli, o alberi e arbusti su terreni che si vogliono coltivare, ma anche per obbligare a pagare il cosiddetto “pizzo”, oppure per lucrare sulle assicurazioni.

Nel dossier fornito dal WWF “La Sicilia è ultima per copertura forestale, ma è prima per le superfici coperte dal fuoco. Il “sistema antincendio boschivo” è diventato una ghiotta opportunità per utilizzare, in un continuo clima emergenziale, ingenti risorse economiche, portatrici di tutele clientelari, sprechi e assistenzialismo, senza alcuna programmazione e controllo”.

Si noti che nei suoli con geologie ricche di metalli gli incendi sviluppano nella cotica superficiale livelli pericolosi di cromo reattivo biodisponibile, un noto cancerogeno che può essere facilmente disperso dal vento, insieme alle ceneri, a lunghe distanze e persistere fino a un anno dopo l’incendio, specialmente in ambienti secchi.

Ed è noto quanto le particelle fini prodotte dagli incendi riescano a penetrare in profondità nei polmoni. Secondo un articolo di Nature Communications l’inalazione dei metalli pesanti cancerogeni, come il cromo, risulterebbero più pericolosi rispetto all’inquinamento da altre fonti; ciò in quanto il fumo degli incendi boschivi è una miscela complessa e dinamica di gas e particolato (PM) che attiva vie infiammatorie o risposte al danneggiamento del DNA.

In particolare la lenta velocità di ossidazione di Cr(III) da parte dell’ossigeno molecolare si accelera a temperature superiori a 200 °C, portando alla rapida generazione di Cr(VI) tossico, anche da Cr(III) legato ai minerali nei suoli.

Inoltre,dopo gli incendi, le aree gravemente colpite diventano desolate, coperte di cenere e terreno sciolto, aumentando il rischio di erosione post-incendio ad opera del vento e delle piogge.

Si consideri, inoltre, quanto economicamente insostenibili possano rivelarsi i costi delle tecniche chimico-fisiche per disinquinare, senza contare come ogni attività biologica compresa quella dei microrganismi utili (funghi, batteri azoto fissatori, micorrize) e della fauna terricola venga drasticamente compromessa [Mancuso et al. 2004].

Il metodo più sostenibile sarebbe la “fitodecontaminazione”: alcune piante iperaccumulatrici, utilizzate per la detossificazione di molecole organiche complesse, come i pesticidi, o per il trattamento dei reflui di origine civile, industriale o agricola [USEPA, 2000], possono aiutare a detossinare questi suoli assorbendo e traslocando (Gabbrielli e Galardi, 2004) metalli biodisponibili come cadmio, nichel, zinco, arsenico, selenio, rame, cobalto, manganese, ferro, piombo, cromo e uranio.

Grazie a dei geni contenuti nel  Dna, assorbono questi metalli dalle radici e li accumulano anche nelle foglie: se raccolte, essiccate e trasformate in polveri ricche di metalli pesanti, una volta estratti, possono essere utilizzati nell’industria.

Metalli come cromo e piombo vengono accumulati principalmente nelle radici [Ernst et al.,1992]; anche il rame sembra rimanere confinato nella radice, mentre zinco e cadmio vengono accumulati soprattutto nei cloroplasti delle foglie [[Van Assche and Clijster, 1990].

Tra le piante iperaccumulatrici si menzionano le seguenti:

  • erba storna alpestre (Noccaea alpestris o Thlaspi alpestre) e crescione alpino (Arabis alpina) che prosperavano in terreni ricchi di zinco e di nichel, capaci di assorbire anche piombo ed altri metalli pesanti dal terreno.

Si è riusciti a coltivare l’erba storna alpestre su terreni inquinati, a trattare e purificare le sue foglie, e ricavarne un catalizzatore ecologico per produrre cosmetici, fibre tessili e pesticidi biologici, non dannosi per la salute umana (Claude Grison);

Dott.ssa Agr. Brigida Spataro

Foto: pexels.com

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