In Sicilia il nettare prodotto dalle Api nere sicule possiede antiossidanti in quantità dieci volte superiori rispetto a qualsiasi altro miele, ma anche tredici sostanze antibatteriche e quattro antifungine.
Catalogata come “Apis siciliana” nel 1896 da Dalla Torre, l’Ape nera siciliana è stata classificata da Montagano nel 1911 come “Apis mellifera sicula” e possiede un miotipo genetico africano (A) diverso dalla varietà “ligustica”, la più diffusa in Italia.
Il Presidio Slow Food dell’ape nera Sicula conta oggi sette produttori nell’area tra Palermo e Trapani.
Considerato che l’ape nera sicula è’ molto docile, tanto che non servono maschere nelle operazioni di smielatura, è molto produttiva anche a temperature elevate.
Del miele prodotto dall’Ape nera sicula si sono occupati il Dipartimento di Chimica Farmaceutica e Tossicologia dell’Università Federico II di Napoli e il Dipartimento di Farmaceutica e scienze Biomediche dell’Università di Salerno: «I risultati ottenuti sulla composizione polifenolica dei mieli di arancio e limone – scrivono i ricercatori – indicano un quantitativo maggiore rispetto a quello riscontrato negli altri mieli della stessa tipologia ma prodotti da sottospecie diversa in Sicilia e in altre regioni d’Italia o all’estero, che condividono le stesse condizioni climatiche. E addirittura 10 volte maggiore rispetto ai mieli prodotti in altre aree dell’Isola stessa». La ricerca è stata pubblicata anche dall’inglese «Food and Chemical Toxicology journal.
Ed anche Carlo d’Inghilterra ha già acquistato gli sciami di Ape nera sicula per favorire l’impollinazione nelle sue fattorie del Galles.
Gli insetti impollinatori svolgono un ruolo fondamentale nella riproduzione sessuale delle piante, la vita delle quali dipende dal prezioso lavoro delle api allevate e delle diverse specie selvatiche (numerose soprattutto in Italia) e di altri insetti pronubi.
Purtroppo, dagli anni novanta, la salute delle api (molto sensibili agli anticrittogamici, ai diserbanti e agli insetticidi), in tutto il mondo, è stata in pericolo anche per l’incremento dei nuovi pesticidi tossici, creati da aziende e colossi multinazionali.
L’uomo ha esercitato un intervento sempre crescente all’interno dei cicli naturali, rendendo sempre più delicato e problematico il suo rapporto con la natura, un rapporto che richiede necessariamente una visione globale e non parziale della realtà e dei vari settori d’intervento, poiché gli equilibri all’interno dell’ecosistema sono tali che non si può intervenire su un settore senza apportare modifiche negli altri.
In molte zone del Paese, in seguito alla meccanizzazione e alla specializzazione colturale, si è sviluppata la monocoltura e l’agricoltura intensiva che, modificando interi ecosistemi, ha comportato la riduzione delle varietà floreali insieme alla necessità di un uso massiccio e a volte indiscriminato di diserbanti e pesticidi anche durante il periodo della fioritura con conseguente moria di interi apiari.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, le colture il cui destino è legato a quello degli impollinatori rappresentano circa il 90 per cento del nutrimento mondiale, minacciato dai veleni chimici di sintesi usati in agricoltura come i pesticidi sistemici neonicotinoidi, utilizzati tramite nebulizzazione per la concia delle sementi.
Per quanto riguarda gli effetti «sub letali» sulle api dell’uso di neonicotinoidi, in base ai test effettuati nel monitoraggio effettuato dai tecnici di Apenet, è stata rilevata una grave compromissione del recupero della memoria delle api già con quantità molto inferiori a quelle indicate come letali.
Una ricerca condotta presso l’Università di Nottingham ha dimostrato che una determinata categoria di insetticidi è in grado di provocare alterazioni del DNA delle api. Lo studio mostra una visione globale e non parziale della realtà e dei vari settori d’intervento, poiché gli equilibri all’interno dell’ecosistema sono tali che non si può intervenire su un settore senza apportare modifiche negli altri. I risultati delle ricerche sono stati pubblicati sulla rivista PlosOne.
Secondo la Coldiretti, sulla base dei dati sul commercio estero dell’Istat, la produzione di miele italiano è in netto calo e, tra le prime cause della crisi c’è la moria delle api.
Un altro indice che rivela la crescente perdita di alveari è la decurtazione nei finanziamenti che la Commissione Europea, attraverso il Reg. CE 1234/2007, assegna annualmente all’apicoltura e tale importo è legato al numero di alveari censiti nel territorio della UE.
La Legge Regionale n. 65/95, infatti, prevede che annualmente gli apicoltori dichiarino il numero di alveari in allevamento al Comune di residenza, all’ASP (Servizio veterinario) e alla Regione per avere accesso alle agevolazioni derivanti da leggi e regolamenti nazionali e comunitari.
La Regione Siciliana, infatti, senza nessun costo aggiuntivo, dà la possibilità di aggiornare annualmente il censimento in base al quale chiedere l’assegnazione di fondi provenienti dal Reg. su indicato.
“La produzione in Italia nel 2014 – sottolinea la Coldiretti – è risultata in forte contrazione, si stima tra gli 11 e i 13 milioni di chilogrammi, con una riduzione attorno al 50% a causa del cattivo andamento climatico durante alcune delle fioriture più importanti, quali acacia, agrumi e castagno. In particolare, le temperature sotto le medie stagionali, le piogge abbondanti e i forti venti hanno ostacolato fortemente la raccolta del nettare da parte delle api. Preoccupanti, osserva Coldiretti, anche gli effetti delle avversità parassitarie che hanno colpito le famiglie di api nel 2014, oltre alla Varroa destructor, i focolai di Aethina tumida e i ritrovamenti di Vespa velutina, hanno determinato danni e gravi ostacoli all’operatività degli apicoltori.
Un pericolo per l’Italia perchè come diceva Albert Einstein: «Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita».
«Rimpiazzare una singola famiglia di api – spiega il Presidente dell’Unione nazionale degli apicoltori italiani, Francesco Panella – costa mediamente 100 euro, che moltiplicati per 250 arnie fanno 25.000 euro».
“Dal 19 gennaio 2014 è operativa l’anagrafe delle api, con la possibilità, per gli apicoltori di registrarsi sul portale del Sistema informativo veterinario accessibile dal portale del ministero della Salute al quale potranno accedere operatori delle Asl, aziende e allevatori per registrare la attività, comunicare una nuova apertura, specificare la consistenza degli apiari e – precisa la Coldiretti – il numero di arnie o le movimentazioni per compravendite”.
Secondo il Global Bee Colony Disorders and other Threats to Insect Pollinators “la situazione può diventare drammatica: ” Delle 100 piante commestibili esistenti, oltre 70 sono impollinate dalle api. Queste specie assicurano il 90% della produzione di cibo globale. Il commercio internazionale favorisce lo spostamento in tutto il globo di nuove specie di acari, virus, funghi velenosi, che causano la morte delle api e di altri insetti impollinatori; – molte specie di api non trovano più tutte le piante necessarie a nutrire le larve; il rapporto indica che nei prossimi decenni spariranno 20.000 specie vegetali, con conseguente indebolimento del sistema immunitario dei nuovi nati; -l’inquinamento dell’aria compromette la capacità della api di percepire il nutrimento migliore; se nel XIX secolo l’odore di una pianta era percepibile a 800 metri di distanza, oggi il raggio si riduce per lo più a 200 metri; – il cambiamento climatico peggiora la situazione giacché modifica i tempi della fioritura e la distribuzione delle precipitazioni”.
«Nel nostro Paese – fa sapere l’AIIPA (Associazione Italiana Industria Prodotti Alimentari), i cui associati commercializzano anche notevoli quantità di miele italiano – gli apicoltori non sono messi nella condizione di poter efficacemente curare le loro api vittime di varie patologie, e preservarle dai danni conseguenti a trattamenti agricoli indiscriminati. Attualmente, infatti, il regolamento comunitario vieta l’uso di fitofarmaci ed antibiotici per la cura delle api diversamente da quanto avviene per tutte le altre categorie di allevamento come i bovini o gli ovini. La mancata indicazione di una normativa comunitaria per il trattamento delle api è, inoltre, legata solo ed esclusivamente al mancato deposito dei relativi dossier da parte delle aziende farmaceutiche che non hanno interessi economici a portare avanti la ricerca in questo campo data la ristrettezza del mercato che rappresenta».
Delle 20 mila tonnellate annue di miele consumate in Italia, solo la metà vengono assicurate dalla produzione nazionale, mentre la differenza viene garantita dalle importazioni provenienti in particolare da Argentina e Ungheria”.
Sul fronte export, il principale mercato del miele italiano è quello tedesco. In Germania arrivano ogni anno oltre 2 mila tonnellate di prodotto per un valore di circa 5 milioni e 400 mila euro. Ad una prima analisi, questo dato potrebbe apparire un paradosso in quanto l’Italia – non autosufficiente nella produzione di miele – esporta, di contro, grossi quantitativi in Germania. In realtà in questo paese si esporta principalmente miele di melata, una qualità molto scura che non viene apprezzata dal mercato interno dove si prediligono mieli chiari come il millefiori o l’acacia.
L’alveare non produce solo miele, ma anche altri prodotti, dalla cera al polline, dal propoli alla pappa reale, dall’ape regina agli sciami.
E’ fondamentale una adeguata assistenza sanitaria che metta a disposizione veterinari preparati, approfondimenti a livello universitario, strutture diagnostiche alle quali gli apicoltori possano rivolgersi.
Bisogna potenziare la ricerca, i mezzi finanziari e un coordinamento tra le diverse iniziative che si intraprendono, prendere in attenta considerazione il problema delle diverse cultivar e dell’equilibrio che tra esse vi deve essere.
L’imprenditore è portato a coltivare ciò che dà maggior reddito, ma quello agricolo è il settore dove può essere maggiormente presente l’intervento dell’ente pubblico, che non deve limitarsi solo a disciplinare le eccedenze produttive, ma deve vigilare perché non vi siano residui di fitofarmaci nelle coltivazioni bottinate dalle api.
In un mondo agricolo più sano e rispettoso degli equilibri naturali le api e gli altri insetti pronubi potrebbero favorire raccolti più abbondanti e di migliore qualità.
È necessario, pertanto, approfondire lo studio sui rapporti complessi esistenti tra apicoltura ed agricoltura, sulla flora nettarifera e pollinifera, sul come ottimizzare le produzioni mellifere. Occorre studiare come modificare le composizioni floristiche nelle diverse zone per avere maggiore potenzialità mellifera, redigendo anche una mappa mellifera dei diversi territori.
La forestazione produttiva e quella protettiva devono avere come fine anche il settore apistico.
L’impianto di nuovi boschi o la cura di quelli esistenti dovrà mirare a moltiplicare quelle piante del bosco, del sottobosco e delle macchie che hanno essenze nettarifere in quantità e qualità tali da permettere al settore apistico di svilupparsi e di produrre miele pregiato. La messa a dimora di piante di determinate specie nettarifere, anche nei vivai, raggiunge fini diversi: non solo tutelare il territorio, garantire la salubrità dell’aria, produrre legno e legna, ma anche quello di permettere la produzione di mieli pregiati.
Nelle zone interne può essere sviluppata anche la coltivazione di alberi da frutto cosiddetti minori come more, lamponi, mirtilli.
Dott.ssa Agr. Brigida Spataro
Foto: http://paroleacolori.com/una-carica-di-energia-produzione-componenti-e-proprieta-del-miele/